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Dic

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A tutti i professori ordinari con età superiore a 65 anni.

Carissimi,

la crisi economica che sta per investire il Paese produce un impatto fortemente disomogeneo sul pianeta Università. A fare le spese della crisi ci saranno in primis i giovani e i precari di Atenei e Enti di Ricerca. Dal 2010, lo sapete bene, molte borse, assegni e contratti di collaborazione non potranno essere rinnovati. Nel contempo, sono di fatto bloccate nuove assunzioni di personale strutturato posto che le proiezioni di bilancio del vostro Ateneo sono in rosso già a partire dal 2011. Mancheranno i soldi per pagare gli stipendi, oltre a quelli per luce, gas, pulizie, per non parlare degli investimenti.

Da anni ormai il Vostro ruolo vi pone nelle posizioni apicali del sistema universitario nazionale che, in ogni Paese che si rispetti, va riguardato come il luogo della formazione dell’eccellenza e della valorizzazione dei talenti. In Italia, negli ultimi decenni, questo luogo è stato invece additato da molti quale esempio della scelleratezza di una "casta", della dissipazione dei talenti (ribattezzati come i "cervelli in fuga"), dello sperpero di risorse pubbliche (dal 1997 la popolazione docente è passata da 49.000 a 61.000 unità). Peggio, il sistema universitario è oggi da troppi considerato quale luogo del consolidamento di clientele che nulla hanno a che fare con la qualità e il merito.

Non siete tutti direttamente colpevoli di questo colossale disastro.

Alcuni di voi hanno lavorato con dedizione per tutta una vita, insegnando e ispirando con lezioni magistrali, aggiornando il proprio percorso di ricerca, indirizzando alle giovani generazioni le strade per farsi largo nel futuro. Altri tra voi hanno invece approfittato del proprio ruolo per costruirsi una "dote" sul piano professionale (penso a notai, medici, etc…), immediatamente trasferita in lauti guadagni fuori dalle mura dell’Ateneo.

Questo grido di dolore proviene dalle giovani generazioni che oggi si trovano di fronte ad un bivio e non perdono la speranza di trovare in voi un esempio per il futuro del Paese.

Con lo stipendio mensile corrisposto dall’Università presso cui lavorate vi siete permessi una degna abitazione, una vita di modesta agiatezza, spesso una seconda e terza casa al mare o in montagna. Molti di voi hanno salvaguardato il tenore di vita anche delle generazioni future, facilitando l’accesso a posti importanti – pubblici talvolta – a figli, amici, parenti. Alcuni erano individui di sicuro valore, altri meno.

Giunge oggi la vostra più grande occasione.

L’occasione di dimostrare al Paese di essere una classe dirigente razionale, pronta al sacrificio, consapevole delle sfide che l’Italia si appresta ad affrontare.

L’occasione di liberare le giovani generazioni da un fardello insopportabile che rischia di opprimerci per decenni.

L’occasione di ridare speranza e ossigeno agli scienziati di domani, liberandoci da quei vincoli e freni – umani, culturali e professionali – che la vostra presenza, lo vogliate o meno, comunque pone.

Dimettetevi. Andatevene.

Per legge devono andare in pensione a 65 anni i ricercatori con 40 anni di servizio. Non si vede perchè voi, Professori Ordinari, non possiate fare lo stesso (anche se la legge vi consente di rimanere in ruolo fino ai 70 anni, in deroga a qualsiasi regola valida per ogni altri pubblico dipendente).

L’ufficio personale del Vostro Ateneo vi fornirà tutti i moduli necessari.

Il vostro tenore di vita non cambierà.

Avrete diritto a una pensione superiore ai 3.000 euro mensili netti, che vi pagheremo ancora – spero – per almeno 20 anni . I docenti universitari italiani sono tra i più longevi del mondo, forse perché le poche ore settimanali richieste dal ruolo lasciano il giusto tempo allo studio e alla riflessione scientifica. Certo, i contributi che avete versato non bastano a coprire i costi della vostra pensione, ma lavoreremo noi per corrispondervela.

Potrete ancora lavorare come consulenti, come contrattisti a progetto, su progetti determinati che il vostro Ateneo o altri enti, pubblici e privati, vorranno affidarvi. Rimettetevi in gioco sul mercato: potete farlo da una posizione di vantaggio visti i vostri importanti trascorsi. Potrete permettervi le consuete vacanze, una badante in caso di malattia, un degno gruzzoletto per i regali di Natale ai nipotini.

Andatevene però dalle Istituzioni, dai Consigli di Facoltà, dai Consigli di Dipartimento, dai luoghi in cui potete gestire e controllare gli accessi delle giovani generazioni.

Se tutti voi vi dimetteste domani (siete circa 10.000) gli Atenei italiani risparmieranno in un istante, da quest’anno e per ogni anno successivo a questo, almeno 1 miliardo di euro, cifra che equivale al 15% del FFO, il Fondo di Finanziamento ordinario degli Atenei.

Di più.

Le vostre dimissioni significheranno nuovo ossigeno per le assunzioni, nuova linfa negli Atenei
Le vostre dimissioni significheranno la possibilità di stabilizzare tutti gli assegnisti di ricerca, i dottorandi e i cultori della materia che da anni vi assistono nel predisporre le vostre pubblicazioni, vi accompagnano ai convegni, vi sostituiscono a lezione, vi consentono – in una parola – di dedicarvi con dedizione non solo all’attività universitaria ma anche a tutti gli altri impegni che svolgete abitualmente (giornalisti, liberi professionisti, etc…)

Le vostre dimissioni consentiranno di liberarci anche di quei leccapiedi che sperano solo da voi una elargizione, ma che tutti noi sappiamo bene non essere meritevoli di un posto di eccellenza nell’Università statale.

Sarà una svolta epocale per l’Università italiana, che si ripopolerà di giovanissimi e ritroverà sorrisi ed entusiasmo

Sarà una svolta per tutti quei ragazzi che oggi si laureano e sperano, perchè bravi, in un futuro di eccellenza.

So di chiedervi un grande sacrificio, ma spero abbiate l’accortezza di assumervi oggi questa responsabilità, prima che lo scontro sociale ingenerato dalla crisi porti qualcuno – Dio non voglia – a immaginare ben più drastiche soluzioni di rinnovamento.

Con i migliori saluti.

Stefano